sabato 28 ottobre 2017

FRANCESCA PER SEMPRE









FRANCESCA PER SEMPRE

28.10...
Eri bellissima a tutte le età.
Eri una piccola pulce.
Eri la mia compagna di giochi.
Eri la mia confidente.
Eri una ragazza sensibile.
Eri la mia sorellina.
Sei andata via proprio oggi anni fa.
Un viaggio senza ritorno.
Eppure sento che sei ancora con me.
Ti ho amata quando ti ho vista nascere.
Ti ho amata quando ti vedevo crescere.
Ti ho amata con dolore
il giorno in cui sei andata via
e sono stato il primo tra tutti a vederti,
quanto eri uscita da quella bianca stanza.
Oggi nel tuo anniversario
è accaduta una cosa che mi ha fatto star bene,
so che sei stata tu a farlo
altrimenti avrei passato un giorno triste.
Grazie tesoro mio
oggi davvero è cambiato qualcosa,
qualcosa di importante.

Il tuo fratellone
Giampaolo

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venerdì 20 ottobre 2017

UN SOGNO LUNGO UNA VITA



UN SOGNO LUNGO UNA VITA

Non è facile raccontare la storia di due persone, di una vita differente, di qualcuno che faceva parte della tua famiglia a cui eri legato da vero affetto. Qualcuno che aveva vissuto anni bui, tristi, pieni di odio e rabbia verso qualcosa che non poteva essere (allora ma anche oggi) accettato. 
Nella famiglia di mamma era diventata una cosa "normale", le donne che rappresentavano la maggioranza, donne vere, che hanno sempre lavorato e vissuto in mancanza di uomini scomparsi troppo presto, non avevano nessun problema a considerare un "diverso", uguale a ogni altra persona, anzi difendevano a spada tratta soprusi e cattiverie.
Valerio e Claudio (li chiamerò così in rispetto alla loro memoria e per ciò che erano stati allora e che avevo conosciuto fin da bambino come i due zii un poco strampalati, ma affettuosi e simpatici), avevano vissuto vite diverse, uno vicino alle sue cugine, la mia nonna e prozia e l'altro a Milano ma, tutt'e due, fatte di dolore, di vergogna della famiglia, di botte da altri uomini per essere "diversi".
Valerio non aveva mai fatto mistero della sua omosessualità, in un paese così bigotto, pieno di pregiudizi cattolici ma il suo lavoro a Milano lo aveva, in un certo senso, salvato dalla "morte" fisica e psichica, nessuno può immaginare come sia e cosa sia la cattiveria umana verso le minoranze se non ha mai provato sulla propria pelle.
I due si erano conosciuti grazie alla sorella di mamma nel lontano 1957, erano giovani, belli e si innamorarono. Quando facevano visita a nonna e mamma, io li chiamavo zii e le due donne mi avevano spiegato cosa voleva dire l'amore indipendentemente che fossero uomini e donne.
Ero un bambino abbastanza intelligente per non aver capito di cosa si trattava e da allora tutto per me era stato normale.
Zio Vale mi regalava cioccolatini quando arrivava raramente da noi e quando con la mia zia Domenica, Maddalena ed altre amiche milanesi facevano vacanze al mare, mi portavano regalini di ogni tipo e le loro foto erano talmente buffe che mi facevano morire dalle risate.
Mi addolorava il fatto che mio padre ed i suoi amici li definivano in un modo cattivo e non capivo il perché fossero così spietati tra le arrabbiature di mamma e le frasi di papà quando diceva: "Non crescermi così perché ti caccio via... Meglio un ladro in casa che un c......e!"
Orribile.
A pensarci ora che tristezza, mentalità che non superavano pregiudizi ed ignoranza e si perpetuava tra padri, figli e nipoti maschilisti senza un minino di comprensione e rispetto.
Zio Vale e Claudio negli anni settanta andarono a convivere in un'altra grande città, dove finalmente avevano trovato più serenità al loro amore, gli anni passarono velocemente.
Claudio se n'era andato nel 2004 lasciando solo e disperato zio Vale dopo trentasette anni vissuti insieme, che tristezza, mi aveva colpito una frase che disse lo zio al ritorno dal camposanto.
"Il peggio è per chi rimane..."
Questa parole mi erano rimaste per molto tempo nella mente, quanto aveva ragione, lui sperava di raggiungerlo presto, un amore come il loro non poteva finire così.
Valerio era rimasto a vivere con una nipote di Claudio che lo aveva assistito fino alla sua partenza verso Claudio proprio pochi mesi fa ad ottantotto anni, 13 anni dopo senza il suo Claudio che aveva rimpianto per tutti quegli anni e che con lui ora, saranno nuovamente felici.
Perché ho voluto scrivere questa storia? 
Ho voluto, anzi dovuto farlo e non sono per il loro ricordo, per combattere nel 2017 ancora pregiudizi, perché l'amore non ha età e sesso, ma è stato un episodio triste a cui ho assistito ieri sera:
Due ragazzi per mano, due facce pulite, due giovani vestiti in jeans e giubbotto che passeggiavano in una via laterale alla mia e tre stupidi uomini che li avevano apostrofati: "Finocchi di m....a, andate a fare le porcate da un'altra parte..."
I due avevano affrettato il passo senza lasciarsi la mano e senza rinunciare al loro momento, al loro gesto affettuoso mentre gli altri vigliaccamente dalla loro auto, continuavano con epiteti terribili.
Mi erano tornati in mente zio Vale e Claudio che decenni prima avevano subito anche di peggio chiedendomi, come può l'essere umano non evolversi mentalmente? Come può un individuo insultare volgarmente un altro simile solo per il fatto di essere gay?
Tutti buoni e bravi a gridare uguaglianza, siamo tutti fratelli, siamo i figli di Dio, libertà per l'essere umano e poi?
Poi vedi violenze fisiche e verbali verso omosessuali, donne, anziani e tanto altro... 
Mi chiederò sempre quando verrà il giorno in cui davvero si capirà che le differenze e le barriere sono state create da noi stessi, da stupidi pregiudizi e ignoranza e soprattutto dalla paura.
Non succederà mai oppure forse, qualcosa cambierà?
Intanto rivedo i volti sorridenti di zio Vale e Claudio abbracciati in un foto con alle spalle uno splendido mare blu, indifferenti dalle brutture ma pieni d'amore l'uno per l'altro.

Giampaolo Daccò.

mercoledì 11 ottobre 2017

MAGICO SOTTOBOSCO



MAGICO SOTTOBOSCO

Autunno, una vacanza tra le colline ed i boschi... Tanto tempo fa.

Una lunga passeggiata, come tutte le mattine da quando avevo preso quella vacanza autunnale da un lavoro precario, mi aveva portato verso un bosco che ancora non avevo esplorato, verso quella macchia giallo-bruno-rossa che dalla finestra dell'albergo in cui ero ospite, mi aveva attratto subito da primo momento.
Non sapevo il perché della decisione di aver preso dieci giorni di ferie per visitare un posto poco conosciuto, come se lì, qualcosa o qualcuno mi stava aspettando.

L'istinto delle mie capacità esoteriche? Solo una scelta per un riposo assoluto?
Così dopo un'abbondante colazione, avevo intrapreso la via verso quella macchia, verso quel misterioso luogo. Con grande sorpresa, la strada proseguiva come un magico percorso coperto da foglie colorate in mezzo a alberi prima piccoli, poi più mi stavo addentrando, questi diventavano sempre più alti e profumati di resina.

Non faceva molto freddo, la mia leggera giacca a vento azzurra strideva tra quei colori dorati ma il passo mio rallentava ad ogni metro, non avevo voglia di correre ma di assaporare quella magica atmosfera incredibile, fatta di luci soffuse quasi rosate che penetravano tra le fronde quasi spoglie, fatta di colori uguali ad un dipinto di Monet, fatta di rumori della natura: cinguettii, fruscii, gorgoglii di piccoli rii nascosti chissà dove.
Ero talmente preso da tutto questo che dentro di me sembrava uscire una musica, quasi la sentivo nelle mie orecchie tanto la mia mente l'aveva creata. Mi ritrovai così a cantarla a voce alta e tutto allora si era come fermato.
Dopo qualche metro avevo capito che qualcosa di strano stava per accadere: avevo avvertito un silenzio,  delle luci d'oro davanti a me, un profumo strano, tutto questi mi aveva circondato come per un incanto.
Dentro nel mio animo era vacillata la mia sensazione di sicurezza, quando avevo udito dei leggeri scalpitii che provenivano davanti a me. 
Istintivamente mi ero nascosto dietro ad un grande albero dal tronco scuro con i rami pieni di foglie color ocra, celato osservavo la strada di fronte a me che poco più avanti scendeva sparendo alla vista.
Era stata una grande emozione quando prima apparvero delle corna maestose, poi lui un grande cervo dagli occhi scrutanti e a seguito una femmina e tre cerbiatti di una bellezza incredibile. 
Avevo trattenuto il fiato per l'emozione e per non farmi sentire ma, il loro olfatto li aveva fatti voltare verso l'albero che mi nascondeva.
L'odore umano era molto forte per loro, in quell'istante avevo preso una decisione incosciente forse pericolosa e mi ero mostrato loro quasi immobile in messo al sentiero.
L'aria si era fermata, la luce dorata incorniciava quelle magnifiche bestie ferme ad osservarmi, non so chi aveva fatto il primo passo, ma mi ero reso conto che sia il maschio che io, ci stavamo avvicinando pericolosamente verso entrambi.
La femmina ed i tre piccoli, erano immobili in fondo alla strada, confesso che avevo paura e non capivo perché quello strano e magnifico animale si stava avvicinando a me.
Guardando il suo muso ed i suoi occhi neri e penetranti che si facevano più vicini, mi era passata nella mente una visione di un'isola circondata da una bruma azzurra, una barca e un vestito bianco che probabilmente indossavo chissà quanti secoli fa.
Eravamo a circa dieci metri l'uno dall'altro quando una piccola lepre bianco grigia si era messa tra noi fermandosi a metà percorso. Era arrivata all'improvviso e si era bloccata in mezzo al sentiero coperto di foglie, la testa era rivolta verso il grande cervo e in un attimo o forse dopo un secolo, la grande bestia si era girata e corse verso la sua famiglia scomparendo dopo la strada.
Lei, la lepre, stava ferma lì in mezzo alla strada, poi come un colpo di vento era fuggita nella boscaglia e in pochi istanti tutta la vita del sottobosco riprese a "cantare" come prima, nel momento in cui ero entrato in quella fitta macchia.
Durante il ritorno, ormai uscito da quel meraviglioso posto, mi chiedevo cos'era successo, sentivo ancora la canzone dentro di me mentre il mio albergo e le case del paese erano sempre più vicine.
Mii ero soffermato vicino ad una staccionata e mi appoggiai rivolgendomi verso quel bosco, il sole era alto e quel luogo era diventato un grande punto colorato ma non vedevo più la luce magica che c'era all'interno.
Rivedevo quelle stupende bestie, l'atmosfera ed il silenzio che aveva preceduto la loro presenza, l'immagine di quell'isola e la piccola lepre, avevo pensato di aver vissuto una magia, una piccola avventura strana che se fosse andata avanti, mi avrebbe portato chissà dove.
Avevo sorriso a me stesso e fischiettando la canzone che avevo nella mente, avevo ripreso la strada che portava all'albergo con un animo più leggero ed allegro.

Giampaolo Daccò

martedì 3 ottobre 2017

ACQUA MAGICA



ACQUA MAGICA

Estate,
un tramonto infuocato era stagliato davanti a noi con una Luna, la nostra Dea Madre, nel mezzo cielo blu verso oriente.
Nonna ed io eravamo tornati da poco dai campi colorati vicino al fiume con la borsa di canapa piena di fiori, erbe e radici...
La mia nonna la "strega buona", quella che mi aveva lasciato la pesante eredità del "segno".
Non era passato tanto tempo da quando mi aveva insegnato ad usare, lavorare e creare con le erbe, profumi e pozioni "magiche".
Ma mancava ancora qualcosa al suo insegnamento: l'Acqua. L'elemento da cui nasciamo, l'elemento della nostra Dea Madre, la fonte di vita, quella che ci nutre e purifica.
Nonna aveva guardato la Luna dalla porta dell'entrata verso il cortile, dopo averla chiusa dolcemente, mi aveva guardato dicendomi: "E' ora..."
Mi aveva condotto in cucina, ci eravamo avvicinati al lavello situato sotto la finestra con le inferriate che dava verso ovest, verso il tramonto, verso il fiume ed i campi.
Mi aveva sorriso dolcemente e i suoi occhi neri brillavano in quella luce rossa, i suoi capelli scurissimi e cotonati avevano bagliori di carminio sulle ciocche raccolte.
Aveva posto una bacinella di rame sul tavolino accanto e ne aveva versato dentro dell'acqua fredda da un vaso rotondo di cristallo.
"Paolo, conta molto il non usare oggetti quadrati o comunque con angoli, vedi?... Il cerchio, la sfera amalgama bene gli elementi, non ti sei accorto che nell'acqua c'era del sale e delle gocce di arnica? La bacinella di rame è rotonda anch'essa?" annuivo affascinato dalle mosse di lei.
"Fai quello che faccio io ora visto che abbiamo posato le erbe, le radici e le foglie nei loro vasetti, nome per nome. Ecco..."
Aveva posato le palme delle mani sopra l'acqua, formulando brevi parole che mi aveva insegnato e poi le aveva immerse fino a toccare il fondo e lentamente crescendo con il movimento, le aveva fatte ruotare in senso orario e poi anti orario.
"Ora fallo anche tu, lentamente e dolcemente... Lei ha bisogno di questo..." aveva continuato tenendole immerse per un breve periodo e non appena le aveva tolte dal recipiente, aveva girato le sue mani con le palme all'insù verso il sole quasi tramontato.
"Tutto questo serve per liberare l'energia cattiva accumulata durante il giorno, a scuola, sul lavoro e in altre momenti della giornata e va sempre fatta prima ci cena o preferibilmente prima di coricarsi a letto. Le si tiene immerse per un poco, almeno cinque minuti formulando le parole che ti avevo insegnato e le palme delle mani devono rimanere aperte fino a toccare il fondo. Intanto devi pensare con la tua mente alle cose brutte della giornata e farle perdere dentro quest'acqua magica... Visto?"
Sapevo che non era solo una purificazione ma una preparazione per l'arte esoterica che già, era inculcata dentro di me fin da quando ero venuto al mondo. Era un'iniziazione alle arti esoteriche notturne.
Più tardi, dopo cena mentre nonna parlava con mamma e zia, mi ero seduto vicino alla finestra dove avevamo fatto quel rituale, il tramonto aveva lasciato posto alla notte stellata e la mezza falce bianca della Dea Madre era là, sopra di me, sopra il mio sguardo.
Ero sereno quasi felice, Lei aveva visto tutto e quasi sentivo le maree lunari dentro di me anche se ancora non ne avevo preso coscienza ma... L'astro argenteo in alto mi "proteggeva" con la sua luce riflessa e l'energia femminile che ne scaturiva avvolgendo la nostra Terra.
Avevo sorriso alla Luna come un folletto dispettoso appoggiando la testa sul braccio e subito la mia mente, aveva preso la strada della fantasia.

Giampaolo Daccò