lunedì 7 agosto 2017

IN QUELLA STRADA DI CITTA'



IN QUELLA STRADA DI CITTA'

Lei era uscita da quella casa dove l'aveva vista un tempo felice, dove viveva con quell'uomo che amava e che l'aveva sposata pochi anni prima. 
I loro due piccoli figli erano in vacanza al mare dai nonni per passare il periodo autunnale in un posto soleggiato e tiepido, mentre Milano era immersa in una pioggia ed umidità senza colore.
Non essendoci, loro non avrebbero chiesto a lei: "Mamma dove vai? Possiamo venire anche noi con te ti prego..." e non avrebbe dovuto dire una bugia inventata lì per caso, guardando la loro delusione negli occhi vispi.
Lei era uscita dopo aver ascoltato per caso quella telefonata, tra il marito e l'altra, quella di cui non conosceva l'esistenza ma che da mesi stava scaldando i pomeriggi e a volte qualche sera del suo uomo che adesso le pareva un estraneo. 
Lui le raccontava di impegni di lavoro e di colleghi con cui doveva discutere di progetti fino a tardi.
Stupida, stupida stupida!
Come aveva potuto credergli? Come aveva fatto ad essere così ingenua?
La nebbiolina umida scendeva su di lei, sul suo impermeabile chiaro mentre si guardava nelle vetrine dei negozi in quella strada di città, vedeva il suo volto triste ed i suoi biondi e lunghi capelli che la facevano più giovane dei suoi ventotto anni. 
Sentiva le lacrime scendere lente sul bel viso. Che cosa avrebbe fatto ora? Perché gli aveva lasciato quel biglietto in cucina: "Esco per delle commissioni, torno presto."?
"Torno presto? Non dovrei tornare mai più in quella casa e prendere il primo treno per raggiungere i miei cari" questo era il suo pensiero mentre istintivamente era entrata in quel bar pasticceria di fronte al quel palazzo importante, si era seduta ad un tavolino posto in un angolo e aveva ordinato un tè bollente per scaldare se stessa, per scaldare la sua anima più che il corpo leggermente infreddolito.

Lui era uscito dal tribunale quel tardo pomeriggio, la sentenza era stata definitiva: suo figlio non lo avrebbe avuto solo che per tre giorni al mese, mentre lei, l'ex moglie avida del denaro e di tutto ciò che lui possedeva, aveva preso l'occasione giusta in un momento in cui il suo ex marito aveva avuto una piccola debolezza, una sorta di rifugio occasionale tra le braccia di una collega anche lei in crisi col marito, ma che aveva confessato alla ex moglie per via della sua onestà e lealtà.
Aveva commesso quell'errore di una sera grazie alla continua freddezza di lei nei suoi confronti, una freddezza che da sempre lo aveva ferito e scambiata per carattere difficile.
Invece l'ex moglie, i calcoli li aveva fatti bene. 
La furba, si era presa tutto dall'avvocatessa di grido, alla casa, al figlio fino a quel mantenimento sostanzioso che le avrebbe permesso una vita agiata, incurante degli occhi tristi del figlio di dieci anni che avrebbe voluto abbracciare e stare con il padre che amava tanto.
Lui aveva guardato il suo bimbo con gli occhi lucidi dopo quella terribile condanna immeritata, lo avrebbe visto tra due settimane e per la prima volta con la presenza scomoda di un'assistente sociale decisa dal giudice.
Subito fuori da quelle aule austere e da quell'imponente palazzo grigio, aveva telefonato ai suoi e li aveva sentiti disperarsi, ma ormai il destino aveva tessuto il suo disegno come un ragno con la sua tela.
Si era ritrovato in quella via sotto una nebbiolina umida e tirandosi su il bavero della giacca era entrato in quel bar pasticceria quasi di fronte al tribunale sedendosi ad un tavolino vicino ad una donna bionda dagli occhi tristi che sorseggiava piangendo una calda bevanda.

La nebbia umida aveva lasciato posto ad una sera scura, l'asfalto era lucido e le insegne dei negozi si riflettevano su di esso mentre la città sembrava un formicaio dove le persone tornavano a casa di fretta, dove i tram sferragliando portavano via centinaia di persone mentre innumerevoli auto sfrecciavano nelle strade piene di negozi.
Lui e lei erano usciti insieme dopo aver scambiato qualche frase, si erano guardati negli occhi in quella pasticceria ed entrambi avevano visto se stessi negli occhi dell'altro. Non sapevano neanche loro il perché avevano deciso di uscire e di camminare lungo quel viale alberato dove nessuno li conosceva o che li avrebbero visti amici e conoscenti, intanto ognuno raccontava all'altro la propria storia, la propria disperazione.
Lei si era accorta che lui l'aveva accompagnata quasi fin sotto casa, era un bell'uomo dagli occhi azzurri e sinceri, dal sorriso caldo e buono, le aveva fatto battere il cuore improvvisamente mentre lui le porgeva la mano per salutarla. 
Lui la guardava intensamente provando una tenerezza incredibile per quel volto dolce dallo sguardo chiaro e limpido, l'aveva salutata stringendole la mano e girandosi si era allontanato per sopprimere la voglia di baciarla.
All'improvviso si era fermato più avanti e voltandosi, si era messo a correre verso il posto in cui l'aveva lasciata, eccola l'aveva vista dopo una breve corsa, si era solo incamminata lentamente poco più avanti. 
Aveva quasi urlato il nome di lei mentre la donna bionda si era fermata improvvisamente, lui le si era parato davanti con il sorriso e la fronte bagnata di sudore.
Le aveva messo nelle mani il suo numero di telefono e le aveva baciato dolcemente il dorso della mano come un antico cavaliere, imbarazzata rispose a lui con un sorriso arrossendo un poco, in quel mentre si era sentita sicura, lo avrebbe chiamato e poi il destino avrebbe deciso per loro.

Un suono campane di una chiesa vicino aveva annunciato l'inizio della messa, la statua posta sul campanile sembrava guardare le due figure sotto che stavano prendendo le proprie strade per far ritorno a casa, mentre una leggera foschia stava scendendo dal cielo su quella via di città.

Giampaolo Daccò Dos Lerèn




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