lunedì 29 maggio 2017

UN UOMO SOLO




UN UOMO SOLO

Il mio treno era in ritardo di 20 minuti, avevo evitato parolacce ed imprecazioni, nell'attesa un caffè e brioche nel bar pieno di persone, urla e rumori di tazze e bicchieri. 
Ero scappato quasi subito da quel posto così brutto e mi ritrovai a camminare sulla banchina del mio binario.
Era mattino presto e c'erano pochi viaggiatori mentre una nebbiolina leggera copriva lo sfondo dei palazzi visti da una delle stazioni di Milano, mi stavo innervosendo quando avevo visto una panchina ed un uomo seduto. 
In genere preferisco stare in piedi, ma quel mattino ero talmente sfiduciato dai continui problemi che accadono durante nei miei viaggi, che la stanchezza aveva preso il sopravvento.
Mi ero seduto un po' distante da quell'uomo, non sapendo se fosse un normale viaggiatore o un barbone come se ne vedono tanti ormai, nelle stazioni ferroviarie.
Non sbagliavo, sembrava un senzatetto, avevo preso dalla borsa da viaggio un libro e incominciai a leggere mentre ogni tanto sbirciavo di sottecchi la persona a fianco.
Dopo due minuti sento una voce accanto a me.
- Che legge di bello? - mi volto verso di lui, un sorriso ed un volto abbastanza giovane pieno di segni e due occhi verdi profondi a cui non riuscivo dare un'età, sicuramente più o meno coetaneo nonostante era vestito male ed un cappello di lana nascondeva a malapena i suoi capelli lunghi e sporchi.
Avevo sorriso mio malgrado pensando che mi avrebbe chiesto denaro per andare a farsi di eroina,  dicendomi che aveva fame.
- Sto leggendo "Il ponte sulla Drina" di...
- Ah si di Andrìc... L'ho letto come alcuni altri suoi libri. Ottima autore fa rivivere le sensazioni che descrive nei suoi libri, sempre un po' tristi come chi vive nell'est Europa...
- Come? - avevo chiesto io, con l'espressione ebete di chi si trova di fronte un fantasma.
- Si ... Intendo come gli scrittori e musicisti dell'est che dalle loro opere scritte o musicate, traspare sempre una velata malinconia e tristezza tipica delle loro zone, io ci sono stato mille volte e lei?
Avevo posto il libro sulla panchina annuendo, incuriosito da quell'uomo che al momento sembrava un barbone, un migrante (come li chiamano oggi), invece era un italiano, senza fissa dimora, che mi stava parlando di musica e cultura che conoscevo. Ma questo chi è? Mi domandavo col pensiero.
- Si come "La Moldava" di Smetana, musica sublime... La conosce?
- E' una delle mie preferite. - avevo risposto fissandolo negli occhi, mentre l'alto parlante annunciava il mio treno ed un ulteriore ritardo di 5 minuti.
Il suo sguardo ora era rivolto verso la nebbia che filtrava tra i treni fermi e i binari, sembravano guardassero lontani chissà dove.
- Il suo treno ora ha 15 minuti di ritardo invece che 10... Brutto aspettare vero? - aveva continuato rivolgendomi due occhi che mi avevo fatto rabbrividire di tristezza. - So cosa sta pensando... - 
- Veramente... - avevo cercato di dire qualcosa ma lui aveva continuato senza fermarsi.
- Sicuramente avrà pensato sedendosi vicino, che io fossi un barbone, un extracomunitario, uno che tra poco le avrebbe chiesto denaro per drogarsi o chissà che altro. Magari non voleva neanche sedersi vicino ad un tipo... A dei tipi come me. -
- Le assicuro che... -
- Sono italiano, della bassa padana. Sto aspettando padre Sergio dei frati che abitano vicino a Porta Vittoria... - il mio stupore nel sentire quel nome aveva fatto sorridere quell'uomo. Conoscevo padre Sergio, un bell'uomo, alto con capelli mossi e rossicci, con una leggera barba incolta, una voce chiara e sicura, un frate fantastico e pieno di vita che aiutava tante persone.
- Il mondo è piccolo allora se conosce padre Sergio vero? - annuii sorridendogli
- Ah non ci fosse stato lui... Ora dormo e mangio da loro e lei sicuramente, visto che lo conosce, abiterà in zona oppure ha fatto volontariato da loro... -  avevo annuito nuovamente.
- Lei sicuramente non è di poche parole, i suoi occhi sono vivaci e scommetto che è incuriosito dalla mia storia che le racconterò in pochi minuti prima dell'arrivo del suo treno. - arrossii - La vita ti porta sempre su strade impreviste, a volte sbagli un bivio e ti ritrovi in una tortuosa strada piena di fango e buche, anziché in un bel viale pieno di alberi e palazzi luminosi. -
Due treni avevano sfrecciato veloci poco distanti da noi, impedendo a quell'uomo di parlare. Il vento freddo che si portavano dietro aveva fatto svolazzare le pagine del libro sulla panchina, automaticamente lo rimisi nella borsa.
- Ho perso tutto, moglie, figli, lavoro, amici per errori stupidi dettati dalle ambizioni, dall'egoismo. Errori che sto pagando e a cui non intendo rinunciare, perché se qualcuno ha delle responsabilità deve prenderne atto e subire la cosiddetta punizione... - si era messo a ridere. Mi guardava serio ora e negli occhi una domanda a cui non sapevo dare il significato.
- Ora aiuto i frati, mi hanno dato un lavoro in un'officina... Mi vede qui perché sono riuscito ad avere un incontro con due dei miei figli, i due maschi che abitano a Genova, bei figli ormai grandi, hanno capito e sono gli unici che accettano di vedermi ogni tanto, mia mogl... Volevo dire la mia ex moglie e mia figlia maggiore mi hanno rifiutato... Non posso farci nulla, un domani forse... -  Aveva scrutato in lontananza un uomo vestito di scuro arrivare dal bar della stazione.
- Oh credo sia padre Sergio quello... -  l'avevo riconosciuto anche io mentre si stava avvicinando, ma padre Sergio era stato fermato da una anziana signora con cane e valigia, noi due ci eravamo alzati in piedi, e stava arrivando anche il mio treno.
- Bene mi ha fatto piacere riv... Volevo dire di conoscerla e scambiare due parole con lei anche se ho detto tutto io. - avevamo sorriso entrambi e per un attimo avevo allungato la mano per un saluto... Aveva tentennato per un attimo fissandomi negli occhi e di nuovo vedevo una specie di domanda, non aveva stretto la mia mano ma solo dato una leggera pacca sulla spalle.
- Le mie mani non sono molto pulite... Ma ora le conviene salire sul treno, le porte sono aperte e non credo che rimarranno a lungo per aspettare lei. - sorrisi e quasi corsi quei pochi metri, ero entrato nel vagone ma ero rimasto fermo sulla porta, padre Sergio si stava avvicinando sempre di più a quell'uomo, il quale mi fece un saluto con la mano e disse generando dentro di me un colpo allo stomaco.
- Ciao Paolino... Chissà se ti rivedrò ancora... -
Le porte si erano chiuse prima che  io potessi dire qualcosa ed il treno era partito velocemente allontanandomi da quell'uomo e da padre Sergio che intanto l'aveva raggiunto.
Per più di mezz'ora la mia mente era rivolta a quell'uomo, come faceva sapere il mio nome, il mio diminutivo... Lo conoscevo, mi conosceva sicuramente, ma io non ricordavo chi fosse pur cercando nei meandri della mente nel mio passato.
Il treno si era fermato a Pavia, avevo guardato la stazione e le persone che erano sulla banchina e subito un volto, giovane, più giovane di almeno trent'anni anni era piombato nel cuore.
- Stefano... - quasi gridai con la mente  riconoscendo nel volto dell'uomo in stazione quello di uno dei ragazzi di una mia vecchia compagnia della zona di Pavia....
Stefano, bello, ricco, pieno di vizi e poche virtù umane. Pieno di tutte le cose che altri ragazzi del gruppo invidiavano, prossimo  ingegnere come suo padre, ed ovviamente per noi era destinato ad un futuro grande che personalmente, non potevano neanche sognarlo. Stefano che per lui il sesso era la sola droga che conosceva, mentre per gli altri erano eroina e cocaina... Sesso con tutte e con tutti, vivace, simpatico e...
Ed ora?
Il treno aveva incominciato la sua corsa verso Alessandria, ma dentro avevo già deciso di parlare con padre Sergio, appena avrei potuto per sapere di più su di lui. La nebbia si era diradata ed un tenue sole illuminava la campagna, mentre la mia mente era tornata nei ricordi di un passato neanche tanto lontano.
Stefano.

mercoledì 17 maggio 2017

RITORNERAI?



RITORNERAI?

- Ritornerai?
- Non so.. Non te lo posso dire...
- Perché?
- Io...
- Tu?
- Ci sono tante cose che non sai, tante cose che farebbero male al cuore...
- Al tuo o al mio?
- Both... Entrambi...

L'accento inglese, gli occhi blu dalle ciglia scure scrutavano l'orizzonte fino al mare mentre, l'altoparlante della stazione annunciava l'arrivo di un treno proveniente da Nizza.

- Ritornerai?
- Vuoi una risposta a tutti i costi.
- Si... Non posso stare qui ad aspettarti senza sapere se tornerai da me ancora.

Gli occhi azzurri avevano un segno di sofferenza, sapevo che non li avrei più rivisti, me lo sentivo. Certe cose il cuore e la mente lo sanno già prima di tutte le decisioni prese con ponderatezza.
Poi il suo sguardo penetrò il mio.

- Ho tre figli e...
- Una famiglia da mantenere e a cui vuoi bene, lo fai per loro, non ami più... Una bella casa, un ottimo lavoro e la certezza di un futuro sereno, programm...
- Stop... Wait...
- Wait?...Aspettare cosa? Che tu vada oltre? Oltre a cose che conosco già, trite e ritrite che dicono tutte le persone sposate all'avventura o all'amante di turno?
- Tu non sei un amante o avventura per me!
- Ah no? E cosa sarei allora, dimmelo!
- Un amore che non potrò mai avere... Per tutta la vita.

Avevo riso amaramente mentre un treno sfrecciava poco più in là dal nostro, i suoi capelli ricci e scuri ondeggiavano al vento che portava via quella locomotiva, coprendo il suo volto. Non volevo credere ai suoi occhi lucidi, al suo dolore che ritenevo meno importante del mio, aveva tre figli, una famiglia in Inghilterra, era qui per riposo e convalescenza, un'anima sola che stava facendo i conti con una vita abitudinaria là e con questa, così breve e intensa, dove il mare ed il sole erano la sua cornice.
Avevo il cuore a pezzi.

- Non ritornerò mai più... Ho deciso così.

Stavo per andarmene via, ma dopo pochi metri mi ero fermato voltandomi verso quella figura appoggiata al finestrino del vagone, mentre il vento caldo che proveniva dalle montagne davanti al mare, mi faceva volare la camicia bianca di lino. Mi ero riavvicinato lentamente con le mani in tasca.

- Che ne sarà di noi?
- Non lo so... I could not tell you ... Maybe we will come back to life forever, maybe with the guilty feelings...
- Io non ho sensi di colpa! Non ho nessuno che mi aspetta a casa, figli ed altro.

Aveva abbassato la testa, presi il suo volto tra le mani e baciai la sua fronte e di scatto mi ero allontanato subito. Sarei salito sul vagone. avrei passato tutto il tempo insieme fino all'aeroporto di Nizza. Ma non potevo permettermelo, un minimo di rispetto verso me stesso c'era ancora.

- Ritornerai... Nei miei pensieri per tanto tempo, lo sai?
- Si, come ritornerai tu nei miei.
- Mi scriverai ogni tanto per sapere come stai?

Silenzio e il suo viso si era rivolto verso il capo treno che da uno sportello faceva segno ad un suo collega per la imminente partenza.

- Lo farò te lo giu... I will, I will definitely write you. I will not tell you to swear, we never say this word.
- Ti amo.

Silenzio, il fischio del capotreno e la chiusura delle porte, fecero partire rumorosamente quel treno bianco e rosso verso Nizza. Il suo volto era fisso su di me, come una statua di cera. Poi avevo letto le sue labbra

- I love you too.

Scomparve subito dentro al vagone, non aveva voluto vedermi sparire lentamente da lontano. L'istinto di correre verso il treno, come un melodramma ottocentesco, era salito nel mio io più profondo. Invece con uno sforzo quasi tremendo, mi ero voltato verso la stazione e lentamente mi ero ritrovato fuori da quell'inferno caldo, da quell'addio bruciante.
Piangevo durante il tragitto fino all'albergo, non vedevo gli oleandri accanto a me, non vedevo il cielo azzurro sopra la mia testa, non vedevo il mare blu di fronte...
Sentivo solo una parola nella mia testa, una parola inutile e senza una risposta affermativa.

- Ritornerai?

Giampaolo Daccò.


martedì 2 maggio 2017

IL SALENTO: GRANDE MAGIA DI UN VIAGGIO PER L'ITALIA



SALENTO, LUGLIO 1984

Non potevo immaginare quanta bellezza ci fosse in una parte dell?Italia che fino ad allora non avevo mai visto, non riuscivo ad ascoltare i commenti dei miei amici sui vari argomenti di cui si parlava, ero troppo intento a godermi il paesaggio, a nutrirmi di quella stupefacente bellezza a volte selvaggia a volte naturale e poco, soprattutto non ancora, deturpata dall'uomo.
Quello che si sprigionava davanti a me erano un immenso blu, un'ocra calda, un bianco abbagliante e qualche spruzzo di verde qua e là tra una piccola altura e l'altra. Una luce abbacinante ed immensa ci circondava, e sembrava diversa ad ogni ora del giorno e la sera prima di cena, mi soffermavo incantato ad osservare quei tramonti indimenticabili, di un rosso violaceo infinito, quasi da sembrare un dipinto ottocentesco. 
Poi quasi immediatamente si piombava letteralmente in un cielo stellato così grande da far quasi paura, in notti profumate che quasi illuminavano il mare nero sottostante dalla casa dove eravamo situati.
Un giorno avevamo deciso di partire per un'avventura, una lunga gita per il "tacco" italiano
Da Metaponto eravamo partiti il mattino presto mentre un'alba rosa dorata ci aveva svegliato, in cinque su un'auto piena di musica e borsoni siamo andati all'avventura con l'incoscienza dei vent'anni. La costa di Ginosa, la pineta di Castellana scorrevano sotto i nostri occhi, la luce abbagliante rifletteva su un mare verde-azzurro da sembrare una distesa fatta di una grande pietra preziosa: l'acquamarina. 
Più tardi Taranto coi suoi tentacoli era davanti a noi, impressionante il porto con le ciminiere fumanti, fortunatamente (avevo pensato poi) ci eravamo allontanati presto da lì, ci eravamo fermati a mangiarci dei panini in riva al mare e goderci un poco di sole.
Nel tardo pomeriggio arrivammo a Manduria. tutte le cittadine che avevamo incontrato durante il percorso erano bellissime macchie bianche e ocra, sembravano grandi fortezze nel tavoliere pugliese.
La sera stessa dopo una frugale e tarda merenda e lasciata Nardò ci fermammo a Gallipoli. Cittadina fantastica con un mare da sogno e qui avevamo passato tre giorni,e tre notti indimenticabili.
quell'anno, in due mesi di vacanze, scoprii una terra dalle mille suggestioni, dalle mille tinte e dai mille paesaggi. Eppure in tutta quella bellezza c'era una struggente malinconia forse proveniente dal passato, quando ancora era una terra dura ed il pane quotidiano era sudato con fatica e la popolazione per la maggior parte viveva in povertà oppure con dignitosa difficoltà, ma sempre fiera negli occhi.
Ritornammo a Metaponto giorni dopo, dalle colline nei pressi di Matera vidi il più bel tramonto della mia vita, neanche nei paesi tropicali ne ricordo uno così.
Il sole era quasi sceso e le sfumature della volta spaziavano dall'oro, al rosa, al rosso finendo in un viola e blu notte. Quando il sole era sceso completamente, poco sopra Venere e Mercurio all'orizzonte sembravano due gemme incastonate e su una collina più in là bruciavano i resti di covoni di grano, le fiamme gialle e rosse si stagliavano nel tramonto e le prime luci di paesi lontani apparivano come lucciole.
Eravamo pronti per altri giorni di viaggi e divertimenti, la nostra curiosa sete era in fermento, e il programma era stato stabilito: ripartire verso il nord passando sull'Adriatico, ma non so so il perché, non ero riuscito a ritrovare quella magia di colori così intensi di quell'atmosfera di sogno, che il Salento ci aveva donato a larghe braccia.

Giampaolo Daccò