lunedì 22 febbraio 2016

LONDRA - CORNWAL - WALES: L'AVVENTURA PIU' INCREDIBILE



THOMAS – LONDRA E LE MISTRIOSE TERRE INGLESI DELL'EST

Maggio 1982.
"Ma sei sicuro che siamo a Londra?" sbottai guardando in faccia l'espressione soddisfatta di Thomas come se da mesi non avesse più visto un raggio di sole, annuì con la testa, mi misi a ridere mentre camminando veloci in tuta da ginnastica avevamo accostato Wellington Road, passando vicino all'Humana Hospital. Poi girando sulla sinistra ci mettemmo a correre sulla Prince Albert Road e dopo aver percorso mezzo chilometro, prendemmo un viottolo sulla destra che passava sopra il Grand Union Canal e dopo ancora finimmo sul Circle Outer finalmente all'interno del Regent's Park.
Che meraviglia, e quanto verde, mi sono sempre stupito degli enormi parchi che le città del nord Europa possedevano al loro interno e pensavo al parco Sempione di Milano che era almeno un quinto della sua grandezza.
"E' meraviglioso qui..." dissi al mio amico mentre rallentavamo la corsa mettendoci a camminare sotto quel sole tiepido che illuminava quella vastità di verde e aiuole di fiori.
"Of course" rispose lui prendendomi per un braccio e trascinandomi verso una stradina, così ci trovammo davanti ad un piccolo chiosco di bibite, ci prendemmo dell'acqua naturale.
Poco dopo seduti su una panchina, osservavamo la gente che passeggiava per quel parco e davvero mi sentivo in paradiso.
In un italiano approssimativo Thomas mi disse "Te piacerò visitare Queen Mary's Gardens... E' little avanzare poco là." Mi venne da ridere per quell'accento buffo "Essere a sei-ziro-ziro-ziro yards da here." risi davvero e lui mi diede una sberla in testa al che gli risposi "Tommy parli l'italiano come una mucca olandese" e corsi via inseguito da lui. Più tardi sudati ed accaldati ci trovammo nell'Inner Circle e da lì potevo vedere nitidamente  il Regent College.
Davvero mi sembrava di essere in una sorta di Eden e non nel centro di Londra, passeggiavamo tranquilli mentre alcune vecchiette col cappellino portavano al guinzaglio i loro cani educatissimi, poi andando verso sud, praticamente verso la Madam Tassaud's, vidi una schiera di case disposte a semicerchio, dalla cui vista si poteva godere tutto quel verde meraviglioso. Ne rimasi incantato, mi sembrava di vedere Peter Pan volarci sopra e giuro che mi sarei aspettato una Mary Poppins scendere dall'alto col suo ombrello per aiutare qualche bambino solitario.
"Hey dreamer, look here." mi fece tornare alla realtà la voce di Tommy, sul prato verde due scoiattoli correvano verso una pianta e poco più in la un cerbiatto camminava lento sull'erba. Non ci potevo credere, dove stava il registro per avere la residenza in questo posto stupendo?
Thomas mi cinse le spalle con il braccio era un modo simpatico per farmi muovere, mi sembrava di essere una bambola imbalsamata nell'osservare il paesaggio attorno. Guardai il suo braccio sulla mia spalla, Thomas sorrise "Tu rilassare, non esserci niente di brutto se ti abbraccio.... Londra non è Italia ahahahah. Voi italians molti problemi fare."
Effettivamente mi sentivo un po' sciocco, il classico italiano pieno di pregiudizi mentre là girava di tutto, poco dopo mentre eravamo su un autobus per tornare a Carlton Hill dove abitava il mio amico, sorrisi nel vedere un ragazzo punk che baciava una ragazza addobbata come un cesto di rose, sul marciapiede davanti al semaforo dove ci eravamo fermati. Davvero in quella città nulla stupisce, non ci si deve sorprendere da quel miscuglio di umanità, l'autobus si fermo poco dopo Malborough Hospital e scendemmo avviandoci verso casa.
Avevo ancora sei giorni di vacanza e stare a Londra era il massimo, l'indomani Thomas mi avrebbe portato da suo fratello a Amersham, poco distante dalla città e avremmo passato due giorni in campagna.
"Please Tom, Friday to take me to know Aunt Betty II? (mi faresti conoscere zia Betty-la regina)" chiesi al mio amico.
"Stupìdo!" mi rispose come faceva Stanlio nelle comiche e corremmo su per le scale della sua casa, la porta si aprì prima che suonassimo e sua madre (tipica signora inglese dagli occhiali rotondi) ci sorrise sulla soglia: "Oh my God, Thomas is now a perfect Italian" disse a me guardando suo figlio mentre non appena entrato in casa lanciò le scarpe in alto, "Are you crazy Tom?" continuò lei chiudendo la porta osservando la mia faccia stupita, avrei voluto dirle che io non lancio le scarpe in casa ogni volta che rientro ma penso fosse stata una battuta quella della signora.
Tom  mi guardò con aria sinistra e con gli occhi da bischero, ed esordì con un "Want to give you a shower before me, maybe I wash first, or do together?" 
Scoppiai a ridere, sua madre nonostante avesse il sorriso sulle labbra lo fulminò "Tom!"
Ma ridendo si avvicinò a lei e l'abbracciò dicendo che era solo una battuta sul fatto che noi italiani abbiamo un po' di pregiudizi, poi spari in bagno, Betty mi guardò scuotendo la testa e tornò in cucina per preparare la cena. Mi sedetti sulla poltrona davanti alla libreria e chiusi gli occhi mentre l'immagine di Regent's Park si faceva strada davanti a me con il suo immenso verde e le sue aiuole piene di fiori.




WALES (Galles), Giugno 1983

   Guardando questa fotografia, i miei ricordi vagano in un passato lontano, quando feci la mia prima vacanza in Gran Bretagna; l'anno precedente ero ospite dal mio amico Thomas con cui mi sono divertito tantissimo a Londra, la nostra giovane età ci aveva permesso di combinarne di ogni ed era stata una vacanza fantastica all'insegna del divertimento. 
   Poi con un altro amico di Milano, decisi di tornare l'anno successivo, Thomas era da alcuni parenti in Australia, così abbiamo provato a cambiare il programma a pochi giorni dalla nostra partenza per le isole britanniche.
   Non so perché programmando il viaggio con Marco, avevamo deciso solo di fare una tappa a Londra per due giorni e poi in Cornovaglia per altri tre giorni ed infine, incuriositi da un reportage sulla "misteriosa" ed un po' selvaggia regione del Galles ed un po' perché "sentivo" il desiderio di visitarla come un richiamo antico, avevamo optato per una settimana in quel posto.
    Arrivati a Londra e poi visitata la Cornovaglia, avevamo preso in affitto una vecchia auto da un simpatico e lentigginoso signore proprietario di una concessionaria che si occupava dei turisti, e così da quella celtica e magica Terra di Avalon, in un bellissimo mattino di metà giugno eravamo partiti da Taunton alla volta di Bristol, passando poi da Newport  fino a raggiungere Swansea e poi su verso nord fino a Cardigan. 
   Da Taunton, la Motorway n° 5 ci fece attraversare queste verdi terre solcate da paesini molto semplici e belli, passata poi Bridgewater, nel giro di un'oretta avevamo già superato Bristol ed immessi nella M4 che con un ponte enorme ci fece passare sul fiume Severn, che ormai era già alla fine del suo corso, sulla sinistra si poteva intravedere già il canale di Bristol, immenso come può essere un mare piccolo che divide due terre appartenenti allo stesso stato.
   Ci siamo fermati a pranzare a Newport, città tipicamente anglosassone ma con edifici moderni, situata su un fiume chiamato Usk... Non ci siamo fermati molto e nel tardo pomeriggio avevamo già superato anche Cardiff finendo dopo poco Porthcawl, un paese sul canale di Bristol. Non so perchè ma avevamo deciso di evitare le grandi città, come se una strana curiosità ci spingesse a trovare posti tranquilli e solitari, selvaggi ed antichi. 
   La cittadina si era rivelata bellissima, con case bianche sul mare, dove onde altissime andavano ad infrangersi sui muretti che dividevano la strada dalla spiaggia. Un posto meraviglioso tant'è che avevamo deciso di fermarci a dormire non prima di aver visto un meraviglioso tramonto sul mare.
   Nella notte ci fu un temporale forte che mi fece svegliare di soprassalto, sentendo a fianco Marco dormire con un leggero russare, mi rassicurai e in quel momento mi era venuta in mente una specie di storia che subito mi affrettai a scrivere su un foglio nelle pagine del mio diario di viaggio, finito di scrivere ritornai a dormire.
   Il giorno dopo eravamo già un bel po' avanti, avevamo superato Swansea che credevo molto più piccola di quanto fosse realmente, Marco guidava quasi sempre lui, a me faceva impressione stare seduto sulla sinistra, ogni volta che incrociavamo un'auto mi sembrava di andarci a sbattere contro.
   Marco mi disse che la M4 stava per finire e dovevamo decidere se proseguire all'interno con la A48 e poi immettendoci nella A40 per arrivare fino a Cardigan, altrimenti potevamo fare le strade alternative sulla costa, però ci si metteva molto più tempo, almeno due giorni, senza contare il fatto che non eravamo molto ricchi da permetterci benzina ogni volta e dormire almeno due altre volte in alberghi o viaggiare tutta la notte.
 Allora avevamo preso le due Primary Route, la 48 e la 40 e nel giro di una giornata godendoci il panorama verde di quei posti, innamorandomi anche di due cittadine come la colorata Narberth e la romantica Haverfordwest dove poi ci siamo fermati passando davvero una serata stupenda, dove si cenò benissimo e dormito un po' meno bene, in un piccolo Hotel vicino al fiume dove sognai un mare blu e una tempesta. 
   Il mattino dopo scendendo per primo mi misi a fare colazione senza aspettare Marco, sapevo che doveva curare il suo fisico dopo la doccia e ci avrebbe messo un sacco di tempo, infatti quando arrivò poco più tardi mi vide scrivere sul diario delle frasi.
   "Che fai?" mi chiese,  gli risposi serio serio... "Ma forse scriverò un libro." e ci mettemmo a ridere.
   Verso le dieci e trenta, avevamo ripreso il viaggio verso Cardigan, passata Fishguard, una cittadina dal nome buffo situata sul mare, immersa nella natura, da dove partivano i battelli per una gita di circa tre ore e mezza verso le coste a ovest. Ci siamo fermati per il pranzo e poi dopo poco più di due ore finalmente eravamo arrivati a Cardigan. Avevo paura che la cittadina non fosse bella o interessante invece il luogo era davvero piacevole, ameno, le sue case colorate erano in stile gallese, molto più semplice delle più elaborate english house ma altrettanto magnifiche. 
   L'Hotel che avevamo prenotato da Londra, era leggermente in alto rispetto al paese da cui si dominava nel verde il fiume che poi si immetteva quasi subito nella Cardigan Bay, un corso molto bello dove barche e motoscafi potevano viaggiare fino a Cardigan Island, una piccola isoletta fuori sul mare. 
   Un mare verde-blu strano, con spiagge color oro al tramonto, ed un cielo che spesso cambiava tonalità. Avevamo passato quattro giorni a visitare i dintorni, finendo per innamorarmi di quel posto selvaggio e antico, avrei voluto vivere lì per sempre, Marco non era di quell'idea, però anche lui aveva ammesso poi di sentirsi meglio in quel luogo lontano da Milano. Un pomeriggio grazie ad un consiglio di un signore che aveva una distilleria, ci aveva convinto di fare una visita veloce, a Newcastle Emlyn, una piccola cittadina all'interno tra le colline, ci sarebbe stata una bella sorpresa, disse a noi quell'uomo robusto  dagli occhi verdi, strizzando l'occhio.
   Il giorno dopo eravamo lì... Rimasi a bocca aperta: le rovine di un castello mi affascinarono in modo particolare, vidi una tenuta dove c'erano molte pecore ed il paese con le sue tipiche case  davvero suggestive, immerso nel verde tra le colline e un'ansa del fiume Afon Teifi che scendeva giù verso Cardigan, che qui tutti chiamavano Aberteifi, il vero nome gallese della città dove eravamo ospiti.
   Dopo una passeggiata nel pomeriggio ci eravamo fermati in un pub, dire che  fosse il classico caratteristico pub inglese o gallese non era proprio esatto, era molto di più: respiravi aria antica, affascinante e d'atmosfera, sembrava un locale di altri tempi, sembrava tutto molto strano; ci siamo seduti sulle sedie trapuntate di stoffa rossa, attorno a noi, tavolacci, panche e altre sedie, i mobili di legno d'ebano pesanti e tanti quadri alle pareti. 
   Arrivò sorridente il proprietario, avevamo ordinato da bere e due sandwich ben ripieni, poco dopo ci aveva servito una bella ragazza dai capelli lunghi e biondi, Isabel che conosceva un po' di italiano. Da una radio accesa, nell'aria si era sprigionata una musica celtica bellissima, quasi da sogno, guardai Marco che si sbafava quel panino con gusto poi sorridendo rivolsi lo sguardo verso la finestra aperta e delle colline verdi erano davanti ai miei occhi... 
  Un impulso irrefrenabile mi aveva fatto aprire lo zainetto e prendendo in mano il diario, avevo iniziato nuovamente a scrivere qualcosa. Marco allibito, aveva strabuzzato gli occhi davanti a me: "Anche qui davanti a questo ben di dio?" aveva detto farfugliando mentre stava ingoiando quel sandwich... Avevo accennato un si con la testa e la penna scorreva tra le mie dita.
   Dopo un po' la voce di Marco mi aveva distolto da ciò che stavo facendo "Il libro eh?"... Lo avevo guardato contraccambiando una breve risata.
   "E certo, quando un artista ha la vena ispiratrice mica deve smettere...". dopo aver bevuto un po' di birra, mi osservava in maniera strana, credo che sia rimasto impressionato dalla serietà con cui avevo risposto.
   "Ma racconterai del nostro viaggio?".
   "Non so... Non credo Marco, forse è qualcosa che andrà oltre ad un viaggio fatto da noi due." Marco aveva accennato ad un mezzo sorriso, gli occhi azzurri e i capelli neri lunghi incorniciavano il suo volto dai tratti duri, ma la sua espressione era sempre stata bonaria. Osservavo quella locanda, la bella ragazza bionda dal nome Isabel e quel paesaggio verde fuori dalla finestra, sentivo il bisogno di farlo.
   La sera stessa a Cardigan, in camera mentre il mio amico stava leggendo un libro, mi voltai istintivamente ad osservarlo, era talmente preso dalla lettura che aveva uno sguardo strano, i suoi occhi sembravano fissi e gelidi su quelle pagine, mi era venuta in mente in quell'istante una cosa e l'annotai su un foglio bianco sempre sul mio diario.
   "Altra ispirazione?" Marco si era accorto che l'avevo fissato.
   "Certo e devo dire che tu mi hai aiutato molto in questo caso." quello saltò in ginocchio sul letto "Wow se lo pubblichi e diventi famoso voglio i diritti..."
   "Si come no..."  la mia risposta era sarcastica.
   "Mmmm, visto che non è la nostra avventura nel Galles, di cosa parlerà questo fantomatico libro?"
   In quel momento mi ero reso conto di essere in difficoltà, non sapevo cosa dirgli, avevo solo scritto delle pagine che non c'entravano nulla l'una con l'altra. Descrivevo dei paesaggi, due figure una donna bionda e un ragazzo moro senza legami tra loro. Poi brevi frasi su una locanda e sul suo proprietario, un uomo grosso dagli occhi verdi. 
   "Allora Paolino?" aveva continuato Marco raggiungendo la mia postazione mettendomi la sua mano sulla mia spalla e con l'altra mi aveva dato un buffetto sui capelli che si arruffarono in piedi. "Ahahah sembri uno che abbia visto un fantasma coi quei capelli ritti!" si era messo a ridere di gusto, mentre io stringendo gli occhi voltandomi verso il diario avevo preso nuovamente in mano la penna.
   "E no e? Non dirmi che la sberla ti ha dato un'altra ispirazione..."
   Eppure qualcosa si era mosso dentro di me ed intanto che lui parlava e brontolava, io ormai non lo sentivo più e la penna tra le mie mani scorreva veloce su quei fogli bianchi. Poi fermandomi, mi ero voltato verso di lui che, quel momento era in mutande mentre stava "ballando" seguendo il ritmo di una musica da disco molto in voga allora proveniente dalla radio che aveva appena acceso nella camera.
   "Se lo intitolassi Verdi Colline?"
   Marco si era fermato di colpo, e girandosi verso di me aveva storto la bocca, sospirando e con gli occhi chiusi a fessura guardando i miei capelli ancora arruffati con voce lugubre aveva detto "E perché non - Il fantasma delle colline del Galles?"
   Era troppo stupido in quel momento, eppure a me suonava bene quel titolo "Le verdi colline" e scrivendo quelle tre parole all'inizio delle pagine scritte avevo pensato "Il resto verrà da se". 
  Il giorno dopo ci aspettava il ritorno, avevamo ancora una settimana di vacanza, ma non so il perché non avrei mai voluto lasciare quel posto, quasi sentivo che quei verdi colli volessero trattenermi per chissà quale motivo.
   La mattina seguente eravamo già sulla A40 e guardavo le alture allontanarsi sempre di più, avevo nello zaino il diario e sembrava quasi che mi chiamasse, ma riuscii a resistere a quella tentazione. Pensavo ancora al titolo - Le verdi colline -
   "Chissà se un giorno questo sogno si potrà realizzare..." pensavo continuamente mentre Marco accelerava la vettura aumentando velocità e passata una curva tra due alture, il mare era apparso improvvisamente di fianco a noi... "Tornerò qui ancora." ricordo di aver pensato, "Rivedrò di nuovo le verdi colline".
   In lontananza la cittadina di Fishguard era all'orizzonte mentre un sole caldo ed un vento tiepido ci accompagnarono per tutto il viaggio.




Estate 1997,Cornwall.
Quando lo vidi apparire davanti ai miei occhi in quella terra verde e umida, con una leggera bruma azzurrina che lambiva il terreno attorno, ebbi un momento di emozione fortissima: la sensazione di essere tornato da un passato lontano. Con la mente rividi i fuochi di Beltane, nativi che ballavano e si muovevano attraverso i fuochi e i canti, un'atmosfera animista, forte e piena di energia. Marco mi toccò il braccio. "Beh?... Ti sei addormentato?" Gli sorrisi negando con la testa e proseguimmo con la comitiva verso la collina, la "Sacra Collina Celtica".
Il Tor ora era lì davanti a me, l'atmosfera del mattino era quasi magica, carica di mistero e fascino. Dopo le spiegazioni della nostra guida, ci incamminammo su per il sentiero che ci portava fino in cima ai resti della torre in vetta. Eppure mentre il sole si irradiava nella pianura sottostante mettendo in evidenza un meraviglioso paesaggio, mi sentii attraversare da una corrente energetica, sempre crescendo, più mi avvicinavo a quei resti. 
Una forza proveniente dal profondo della terra sottostante e quando tutta la comitiva raggiunse la torre, io mi allontanai di poco e mi nascosi dalla parte opposta dov'erano i miei compagni. Mi concentrai e come in un sogno sentii una corrente azzurra quasi attraversarmi il corpo e con la mente rividi dei piedi che correvano sull'erba, sentivo il fiato delle persone per la fatica e poco distante una cantilena che sfociava in varie tonalità maschili. 
Una musica bassa ma quasi assordante, oltre ai piedi vidi gambe muscolose che correvano e una mano teneva un pugnale di bronzo ed un segno sulla destra, uguale a quello che ho sulla mia mano. Poi, sempre col pensiero vidi un cerchio formato da uomini vestiti di bianco e attorno a loro inginocchiate, figure femminili vestite di azzurro mentre con le mani usavano dell'acqua vicino ai piedi dei primi. all'improvviso sentii una voce chiamare "Yynswy... Yynswy..." mi girai e sorrisi.
All'improvviso un raggio di sole mi arrivo dritto negli occhi quasi accecandomi. "Paolo... Ma sei qui allora..." Rividi tra le macchie davanti ai miei occhi, causate dal raggio di sole, il mio amico Marco che sorrideva invitandomi a scendere con gli altri. Più tardi sul sentiero che ci portava sotto, mi rigirai verso il Tor, che sensazione strana, lo vidi come immerso in una luce argentea e ripensai a quel nome Yynswy, un nome strano ma quasi familiare. 
Mi diedi del sognatore e scesi con loro fino a raggiungere il pullman che ci portava poi all'albergo. Nel tragitto, dietro di noi, due donne parlavano fitto in un inglese penso dialettale e una di loro disse qualche parola strana tra cui "Ynais Ertoys Winis" incuriosito mi girai ed incrociai gli occhi di queste, quella più anziana dagli occhi azzurro chiaro mi sorrise e mi disse fissandomi negli occhi: "Welcome back, sorry I wanted to say welcome to the land of Yinis Witrin or rather Avalon." sorrisi con il dubbio stampato nei miei occhi davanti a quei visi tipicamente inglesi. 
La bionda a fianco, guardò l'altra poi di nuovo me: "Sooner or later we all return to places we know or ... or ... somewhere in the past where he lived. Do not you think?". Rimasi perplesso ma feci segno di si con la testa non capendo bene cosa alludesse.
Marco mi diede una gomitata leggera "Ma attacchi bottone proprio con tutti eh?" rise. Mentre scendevamo dal bus, salutai con la mano le due simpatiche signore che erano ospiti in una specie di cottage vicino al nostro hotel, la bionda si avvicinò a me e mi diede una cosa avvolta in una carta gialla, sbirciai nella borsa ne aveva almeno una decina dentro. "Consider it a lucky charm", la ringraziai e misi in tasca il piccolo pacchettino. 
   Feci una doccia, mi cambiai per cena e prima di scendere aprii l'involucro e mi trovai in mano un ciondolo rotondo di rame, I bordi erano ricamati come dei petali piccoli e al centro una "Y". Pensai a quel nome Yynswy... Rimasi incerto e stranito, lo misi in tasca e scesi in sala da pranzo. Una coincidenza strana... Chissà...


venerdì 19 febbraio 2016

AMO


AMO

Amo il sole che tramonta 
quando si sdraia lentamente 
ma amo sperare credulo 
che per noi si infuocherebbe. 

Amo la tua mano che mi rassicura 
quando mi perdo in fondo al buio 
e la tua voce ha il mormorio 
della sorgente della speranza. 

Amo quando gli occhi tuoi di bruma 
mi ammantano con la tua dolcezza 
e come su di un cuscino di piume 
la mia fronte si posa sul tuo cuore

(Salvatore Adamo)

Una piccola poesia che poesia non è, sono solo una parte delle parole di una stupenda canzone d'amore dedicata alla propria innamorata od innamorato. Ho voluto farle conoscere perché il loro significato sono una melodia d'amore stupenda, parole dettate dal cuore e che risvegliano sentimenti profondi e fanno capire, quanto amore può esistere verso chi ci è a fianco.
Non è facile esprimere i propri sentimenti alla persona che ci è accanto, o meglio sembra facile ma spesso vengono dette le solite frasi, forse banali come: ti amo, sei la mia vita, sei l'unica o l'unico per me. Questa volta invece vorrei dedicare a chi ho avuto vicino in questi giorni molto difficili per me, con amore e pazienza, parole che giungono dal cuore, parole donate con tutta la mia passione alla persona con cui condivido la vita da 18 anni:

AMO tutto ciò che sei
AMO tutto quello che fai per me
AMO tutto il tuo supporto ogni volta che ne ho avuto bisogno
AMO tutta la tua pazienza nei miei confronti
AMO tutti i tuoi abbracci per consolarmi
AMO tutta la tua volontà per farmi felice
AMO tutti i tuoi sorrisi per scacciare le mie paure
AMO tutte le tue arrabbiature quando ti tormento
AMO tutte le volte che mi hai chiesto aiuto
AMO tutte le volte che ti ho dato me stesso cancellando il tuo dolore
AMO tutti i tuoi messaggi, le tue telefonate, le tue parole
AMO quando mi guardi con quegli occhi neri e profondi
AMO la tua voce leggera che mi fa stare bene
AMO le tue mani quando mi accarezzano la fronte
AMO quando mi accarezzi i capelli dolcemente
AMO...

Quanti AMO, quante parole si dovrebbero ancora scrivere per poterti dedicare tutto il mio amore, sarebbe come riempire un lago con un cucchiaio d'acqua ogni secondo, sarebbe come contare tutte le stelle, una per una, nel buio del firmamento, sarebbe come far crescere un pianta innaffiandola ogni giorno per tantissimi anni. Impossibile scrivere tutto, impossibile descrivere le emozioni del tuo arrivo imminente quando ti aspettavo con ansia al nostro posto, impossibile descrivere la gioia nel cuore nelle nostre notti d'amore. Eppure eccomi qui, seduto davanti al mare nel rosso del tramonto a guardarti mentre tu stai camminando sul bordo dell'acqua, cercando di indovinare i pensieri che sono nella tua mente, nel tuo cuore e mentre, in questo istante ti volti verso di me, mi alzo e avvicinandomi ti prendo per mano ed insieme camminiamo in silenzio nell'incanto del vespro, lasciando alle nostre spalle le orme che presto, piccole onde le cancelleranno. Ma non cancelleranno mai il nostro sentimento.

GIAMPAOLO













FUORI DALLA GABBIA




Era da tanto tempo che quella gabbia rinchiudeva quell'anima dolce e tenera. Era da troppo tempo che quelle inferriate avevano chiuso il tuo corpo e la tua vita.
Troppi anni come una bambola di pezza "legata" da un filo invisibile ad un letto fatto di coperte calde ed i tuoi arti punti da mille aghi.
Chissà cosa balenava nella tua mente, nel tuo spirito quando tutti erano vicino a te mentre tu spaziavi in chissà quali mondi.
Quanto tempo, quanti anni persi dietro ad un mondo in cui non c'era posto per nessuno solo per i tuoi incubi e fantasmi.
Poi quel bellissimo tuo volto, la dolcezza del sorriso si erano spenti tra quella prigione che prigione vera non era, una gabbia dove solo tu vedevi le sbarre.
Ma il giorno in cui ho visto nei tuoi occhi balenare una luce diversa e sembrò in quell'attimo che tu mi sorridesti, capii che presto la porta di quella gabbia si sarebbe aperta. Capii che avresti preso il volo verso un cielo limpido fatto di amore, un viaggio insieme a chi speravi di rivedere da tanto tempo.
E questa notte sei fuggita leggera come un pettirosso, felice tra le braccia della luna, delle stelle e dell'immenso. Finalmente libera dalla gabbia.
Vola in alto Angela, vola felice tra le nuvole e verso quel paradiso che tutti sognano come l'ultima e dorata dimora.
Vola mamma, viaggia lassù lontano mamma, dove non esiste più ne dolore, ne sofferenza, via su nel cielo finalmente con il tuo dolce sorriso tra l'amore che circonda l'universo, non ti dimenticherò mai ogni giorno ed ogni ora, per sempre Stellina.
Tuo Paolino.

lunedì 15 febbraio 2016

SEMPRE IN ATTESA




E lei è sempre in attesa
ormai da molti anni
di quel treno
che la porterà via
lontano da ciò 

che lei non è mai stata
lontano da ciò che non è più 
da molto tempo
da troppo tempo
lontano dalla luce
dai colori e dall'amore
Ben presto arriverà
quel treno
che la porterà via
dal quella pioggia perenne.

Giampaolo Daccò 
(photo Giovanni Marvetti)

martedì 9 febbraio 2016

MANI



MANI

Mani che si toccano
Mani che trasmettono amore
Mani giovani
Mani vecchie
Mani che un tempo erano piccole
Mani che un tempo erano giovani
Mani che sono nate dalle stesse
Mani che accarezzavano
Mani che aiutavano
Mani che ora sono vicine
Mani che tra poco saranno distanti
Mani lontani che tra poco saranno
Mani lontane per sempre
Mani che un domani lontano si ritroveranno

venerdì 5 febbraio 2016

PARIGI, nostalgia di ricordi indimenticabili








Sul mio blog “Fantasia e Realtà” ( giampaolod.blogspot.com ), ho raccontato qualche avventura accadutami a Parigi insieme al mio amico Louis, avventure di anni fa, piacevoli e bellissime che solo questa stupenda città può dare. Così è stato anche il mio "viaggio di nozze" molti anni dopo, venti giorni quasi magici per ritrovare la città che molti anni prima conoscevo bene e che non avrei mai scordato per tutta la vita, sperando anche di ritrovare qualcosa di quel mio trascorso.
Vorrei raccontare quattro storie tra le tante che mi sono rimaste nel cuore durante la mia permanenza in questa meravigliosa città, forse la mia preferita. Una nostalgia per un'amicizia che nonostante sia finita da tantissimi anni e che non sono più riuscito a recuperare, come se Louis fosse scomparso in chissà quali meandri del mondo o universo. Quattro avventure che vorrei rivivere nonostante tutto.







Tutto questo iniziò anni prima

Grecia, giugno 1982.

Qualche ora prima, l'aereo che atterrando mi portò ad Atene era un ricordo ormai lontano. Il traghetto che attraversava quel mare così intenso e scuro, pieno di turisti, mi vedeva seduto in disparte, con la mia valigia ed una sacca ai piedi, ad osservare le isole poco lontane che si profilavano durante queste ore di viaggio.
L'isola che mi aspettava sarebbe di lì a poco spuntata all'orizzonte ed infatti da lontano dopo pochi minuti si incominciavano ad intravvedersi le prime rocce delle alture. La luce accecante del sole nonostante gli occhiali scuri, mi impediva di vedere qualcosa in più di qualche macchia di vegetazione verdastra su quelle rocce chiare, poi più ci avvicinavamo al porto più le macchie si fecero nitide.
Cespugli mediterranei verdi scuri con qualche fiore giallo e rosso spuntavano tra le alture, qualche picoclo ulivo faceva capolino su strade invisibili all'occhio ed ogni tanto qualche casa bianca dalle porte finestre tinte di ogni colore ed infine, il traghetto virando a destra velocemente si avvicinò al porto.
Non c'erano più macchie bianche e verdi, ma tanta gente, tante case, tanti fiori selvatici, qualche auto e taxi in attesa di qualcuno: dopo l'attracco al molo, mentre ci ponevamo in fila per scendere, davanti e dietro di me un vociare di perosne, un gridare id bambini e qualche spinta dovuta a valigie o borsoni da viaggio. Finalmente arrivato in una piazzetta dalle mattonelle bianche con disegni strani, dopo una lunga sosta sotto un sole accecante, toccò il mio turno a salire su quel taxi vecchiotto guidato da un uomo coi baffi dal sorriso smagliante.
Conosceva l'italiano e per me fu facile dirgli dove si trovava il mio alloggio: una casa presa in affitto o meglio una parte di un'abitazione famigliare che veniva data come appartamento a chi volesse farsi una vacanza lontano da tutto. La strada che portava a quella casa era in salita, non molto lontana da una via poco distante da una chiesetta circondata da case in stile mediterraneo che ricordavano il nostro sud, e con sorpresa la strada proseguiva verso il mare riscendendo in leggere curve verso est.
Arrivai davanti a quella semplice struttura ma meravigliosa per i suoi colori: bianca, di un bianco accecante e la porta d'ingresso col portone a fianco coperto di Boungavillee e le persiane delle finestre erano tinte di un celeste vivido ed una terrazza piatta per solarium ne faceva da tetto.
Pagato il taxi e sceso con le mie borse, una signora gentilissima mi si fece incontro e precedendomi parlando un italiano un po' strano mi portò in casa dove conobbi il marito e uno dei tre figli.
Dopo le varie presentazioni, varie firme e i miei documenti dati a loro per un controllo quasi distratto, attraversammo un piccolo cortile pieno di Boungavilee rosse, piante di cedro e alcuni rampicanti dai fiori bianchi circondati alla base dagli Alyssum bianchi, l'altro lato della casa mostrava due piani con una scala in mattoni esterna dipinta di bianco e azzurro. La signora mi disse che sotto c'erano quattro ragazze inglesi, al primo un signore turco che passava l'estate lì scrivendo racconti, uno studente tedesco... Salimmo le scale, la mia camera era al secondo e ultimo piano, la donna continuò dicendo che nella camera vicino alla mia c'era un ragazzo francesce dal nome Louis (che col tempo diventò uno dei miei più cari amici con cui passai qualche vacanza a Parigi ospite dai suoi, vacanze già descritte qui tempo fa).
Entrai in camera, vidi un piccolo soggiorno con tavolo due sedie, un buffet, a fianco il letto matrimoniale di legno con lenzuola e copriletto bianco, un comodino, un armadio. Il bagno a ogni piano era comune, con doccia e servizi sanitari perfetti in stile greco, ornati da disegni azzurri. Tutto sembrava perfetto tranne io. Aspettai che la signora si sincerasse che tutto andava bene e mi piacesse, poi lei uscì con un sorriso dolce.
Vidi la grande finestra che spaziava verso il mare, l'aprii e davanti ai miei occhi quel magnifico panorama che non dimenticherò mai, il sole era alle spalle e stava quasi al tramonto ormai, le luci del paese incominciavano ad accendersi e un'aria lieve che proveniva dall'oriente, incominciava a donare un leggera frescura a quella torrida, lunga e stancante giornata.
Decisi di farmi una doccia ed entrai nel bagno convinto non ci fosse nessuno, tanto era aperta e mi trovai davanti Louis completamente nudo che cantava una canzone insaponandosi, non aveva chiuso la porta convinto che non ci fosse nessun'altor ospite al nostro piano... In pratica ci siamo spaventati a vicenda tant'è che lui scivolò nella tazza e picchiò il fondo schiena mentre io con un salto indietro feci cadere l'attaccapanni poggiato al muro. Scoppiammo in una risata fragorosa. Non sapevo più come scusarmi.
Ci trovammo due ore dopo a cena insieme in un piccolo ristorante vicino a quella bella casa bianca dalle finestre celesti, prima di partire desideravo stare in compagnia di me stesso ma poi quella sera decisi che almeno per quella volta non sarei rimasto solo, avrei assaporato la mia solitudine nei giorni seguenti.
Con Louis ci intendemmo subito, tant'è che il giorno dopo ci ritrovammo per caso in spiaggia, vicino ad una caletta a un chilometro dalla cittadina, dapprima parlammo di cose stupide, poi ognuno di noi incominciò a raccontare la sua storia e fu lì che scoprii che era la stessa. Incredibile, ma sembrava un segno del destino:
Due poco più che ventenni che vivevano in due metropoli diverse, più o meno fisicamente uguali, stesse scuole frequentate, una sorella entrambi, due genitori che poco tempo prima avevano annunciato che forse si separavano, lo stesso hobby dell'astronomia e infine la cosa più importante scappavamo da una storia d'amore molto dolorosa.
Pensavo di fare una vacanza bohémienne, dove il mio cuore doveva distruggersi per l'amore perduto, dove le coltellate inflitte nel petto dovevano farmi piangere e pensare a ciò che avevo perduto, dove la futura separazione dei miei genitori mi avrebbe straziato la mente da mille pensieri brutti ed invece... Io e Louis ci ritrovammo a fare una vacanza strepitosa, divertente e indimenticabile.
Balli in discoteche, conosciute ragazze e ragazzi simpatici, qualche escursione in varie isole e bagni in mare mentre case bianche dalle persiane azzurre facevano da panorama a tutto. Milano e l''Italia erano talmente lontane che sembravano non esistere più. Louis ed io parlavamo di tutto dei nostri problemi tranne delle nostre storie private che ci avevano fatto soffrire.
Una sera la penultima della vacanza di entrambi, ci ritrovammo da soli sul terrazzo del tetto, migliaia erano le luci che brillavano sulle nostre teste, le lampare delle barche nel mare Egeo sembravano lucciole nel buio, l'eco lontana di vociare di persone nella strada e musiche da ballo non disturbavano la quiete dove eravamo noi.
Eravamo seduti vicini e stavamo bevendo due  bibite fresche quando lui senza guardarmi iniziò a raccontarmi una storia, la sua, quella che lo tormentava da tempo: sentivo la sua voce incrinarsi ma quello che mi fece rabbrividire fu che la sua era uguale alla mia. Lavorava nella tv nazionale francese e conobbe una persona famosa, nota anche in Italia e di lì iniziò la storia che finì come finì la mia. "Il mio agente non vuole" o giù di lì. Non eravamo nessuno per loro e quindi proseguire qualcosa d'importante non ne valeva la pena. Quando finì, si girò dalla mia parte, credo che il mio viso pareva quello di un fantasma e senza guardare l'amico a fianco, raccontai a mia volta la mia di storia.
Louis era ammutolito, come poteva essere vero una cosa del genere? Sembravamo lo specchio  uno dell'altro, mi ritrovai a piangere silenziosamente, ma non so se per il doloroso ricordo o per quello che stava capitando in quel momento. Un aereo passò sopra di noi e Louis, si avvicinò e mi abbracciò piangendo... Dopo giorni di allegria che nascondeva un dolore assopito dalle distrazioni ora era scoppiato per entrambi, l'abbraccio di quell'amico mi diede la sensazione di abbracciare me stesso, un abbraccio fraterno di quelli che le donne si scambiano per consolarsi, senza essere scambiate per chissà cosa.
Un pianto liberatorio quando alle nostre spalle una voce maschile, calma e tranquilla ci fece voltare senza staccarci, il proprietario era nella penombra vicino a noi, da tanto tempo che sentì tutti i nostri discorsi, disse solo "A quanto pare una bella serata per tutti." 
Sorridemmo staccandoci dall'abbraccio, ci guardava come fossimo due bambini, i suoi bambini e ci raccontò una strana storia, la sua che assomigliava tanto alle nostre... Solo diversa nella scelta della partner. 
Passammo parte della serata con lui ad ascoltarlo, il suo sorriso brillava nel buio, alla fine del racconto, ci accompagnò gù nelle nostre camere, si era fatto tardi e quella sua storia ci aiutò a capire, a sopportare e a guardare lontano, che uomo è stato Nesios, un grande.
Due giorni dopo Louis ed io eravamo in aeroporto a Atene, ci scambiammo i nostri indirizzi, i numeri telefonici e ne ero sicuro (com'è successo poi) ci saremmo rivisti, lo volevo a tutti i costi. Avevo trovato il fratello che tanto mi era mancato, dopo mezz'ora l'altoparlante annunciò il volo per Milano e ci salutammo con un forte abbraccio. Lo risalutai prima di passare la dogana e più tardi in aereo pensai a tutta la vacanza, ad una dell tante strane che mi sono capitate poi nel corso di una vita, ma Louis sarà sempre una persona speciale per me, come lo è stata quella vacanza, chiusi gli occhi e mentre l'aereo virava sul mar Ionio, vidi quella bellissima casa bianca dalle finestre azzurre davanti a quel mare indimenticabile.


Parigi, molti anni fa.
La pioggerellina scendeva lenta sui tetti e nei viali, le bancarelle dei fiori e dei libri sul Boulevard dell'Ile Saint-Louis, erano quasi deserte. Mi fermai davanti ad una boulangerie, avevo fame, quando sentii una voce alle spalle.
- Bonjour, je suis désolé pour le retard Jeanpaul -
- Pas de problème, Louis. Je suis ici depuis quelques minutes. -
Il mio amico parigino, non sapeva più come scusarsi. Allora dopo aver chiuso i nostri ombrelli, l'ho "obbligato" visto il ritardo, ad offrirmi la colazione.
Ridendo siamo entrati in un bar pasticceria e ci siamo seduti vicino ad una finestra sulla strada. E davanti a due tazze di latte e caffè con croissants, pain et beurre et confiture, facemmo una grande colazione.
Ero ospite da lui per una breve vacanza e quel mattino avevamo deciso di fare una visita al Louvre.
Alle nove e trenta ci raggiunsero tre coppie di suoi amici. Una sposata, una fidanzata da una vita ed una coppia di ragazze gay. Martine, Lorraine, Didier, Jiulienne, Jean Marc e Francine.
Mentre la pioggia cadeva ancora lenta visitammo una parte del museo, pranzato in una brasserie e infine una passeggiata lunghissima a Montparnasse.
Mentre Louis mi raccontava della sua storia un po' incasinata, vedevo le tre coppie sotto gli ombrelli colorati davanti a noi e le invidiavo un po'. Ogni tanto la risata di Martine risuonava cristallina alle battute della sua compagna Lorraine.
Che atmosfera stupenda di fine estate, poi la brillante idea di prenderci una cioccolata, Louis ci portò in una pasticceria nei pressi del Boulevard De Clichy, decidendo di offrire per questa volta.
All'interno le note di una canzone di Yves Montand proveniva da una radio nascosta dietro al bancone. Una bella ragazza dagli occhi blu ed i capelli neri, sorrideva dalla cassa dove andai ad ordinare. Lei mi sorrise ed alla fine dopo aver pagato disse.
- Monsieur, êtes-vous italien? -
- Il savait de mon accent? - le risposi
- Non seulement cela, mais son visage en dit. Bienvenue à Paris alors.- continuò simpaticamente
- Merci, elle est très gentil mademoiselle ...? -
- Claudine, je m'appelle Claudine - sorrise alla grande.
- Giampaolo, plaisir. - dissi un po' imbarazzato.
Lei continuava a guardarmi al tavolo con i miei amici, mi girai verso la strada, la pioggia continuava a cadere, un'altra coppia sotto l'ombrello correva sul marciapiede per raggiungere un portone.
All'orecchio giunse una musica bellissima "Le foglie morte", voltai lo sguardo verso Claudine e ricambiai un sorriso.
"Benvenuto a Parigi"... mi dissi da solo. Louis mi guardò con aria interrogativa, presi un pasticcino al cioccolato e me lo gustai tranquillo,
mentre la pioggia continuava a cedere davanti a noi.

 II°
La mia vacanza dal mio amico francese Louis continuava tra passeggiate, visite a musei, chiese, giardini tant'è che non me ne sarei andato più via da quella luminosa città. Non che Milano non mi piacesse più, ma l'atmosfera era sublime, l'aria più leggera e i palazzi nella luce dorata del tramonto, mi davano la sensazione   di essere in un posto da favola. Ricordai vedendo una pasticceria con esposte delle torte fantastiche, quella giornata passata con i suoi amici, una giornata piovosa ma allegra.
Quel giorno avevamo deciso di visitare la zona de la Bastille, Louis ed io dopo aver camminato tutta la mattina tra la Place de Bastille con la sua Opera e l'attiguo canale Gare de L'Arsenal con una capatina veloce nella Bibliothèque di quest'ultima, ci fermammo in un bistrot sulla Senna davanti all'Ile de Saint Louis, dopo aver mangiato qualcosa ci accorgemmo che un signore anziano vestito con un soprabito verde ed un basco beige, continuava a fissarmi.
Louis si stava seccando perchè odiava le persone che fissavano gli altri senza un motivo e dopo aver pagato al cameriere il conto ci stavamo alzando dal nostro tavolo, quando il signore anziano si avvicinò a noi:
- Perdonatemi la maleducazione ma vorrei fare una domanda al ragazzo biondo. Se posso... -
- Spero non sia una seccatura - rispose a denti stretti il mio amico mostrando il suo disappunto.
- No no... - l'altro rispose gentilmente con un sorriso  - Volevo chiedere solo se il suo amico fosse tedesco. 
- No sono italiano - dissi nel mio francese stentato.
- Che strano avrei giurato che lo fosse... Ma vorrei spiegarmi meglio., se volete seguirmi, giuro che vi farò perdere solo qualche minuto del vostro tempo, parola di Didier Rainer, che sono io poi. Mi piace dipingere e volevo mostrarvi una cosa e poi capirete. -
Non so perchè uscimmo insieme e quell'uomo che si rivelò discreto e gentile e senza secondi fini, mentre ci incamminavamo tra le vie parigine, ci parlò di un suo amico conosciuto nella seconda guerra mondiale, un dissidente tedesco che odiava Hitler e che trovando rifugio in Francia venne protetto e nascosto dalla famiglia di questo anziano signore. Ci parlò della sua amicizia, di ciò che avevano passato insieme e che non si videro più quasi subito dopo la guerra quando quel suo amico tedesco partì per gli Stati Uniti con un passaporto falso. 
Louis ed io rimanemmo affascinati dal suo racconto finché quest'uomo ci condusse prima attraverso Rue St. Paul, poi Rue de St. Antoine e nella piccola Rue de Birague fino a sbucare nella più bella piazza che ebbi mai visto Place de Vosges.
Non l'avevo mai vista e rimasi incantato dalla sua architettura così sublime e magnifica che rimasi a bocca aperta con un tuffo al cuore. Louis rise guardando la mia espressione, l'altro signore sorrise dicendo:
- La stessa faccia che ebbe Erik quando vide questa meraviglia. Potete aspettarmi qui per favore? Arrivo tra cinque minuti vi devo mostrare una cosa. -
Louis ed io ci guardammo facemmo col capo un cenno di si e in un secondo questi sparì in un portone poco distante, chissà che cosa doveva mostrarci quell'uomo, eravamo incuriositi e mentre il mio amico rimase in piedi a fumarsi una sigaretta, io sempre più estasiato da questa bellissima piazza, entrai nei suoi giardini, dopo poco mi sentii chiamare e vidi Louis con quell'uomo sotto il portico. Mi avvicinai e mentre il mio amico si stava nuovamente mettendo in bocca la sigaretta, l'altro mostrò un quadro che fino a poco prima era coperto da un pezzo di stoffa.
La sigaretta di Louis cadde dalle sue labbra non appena vide il ritratto disegnato sopra:
- Merd... pardon Mon Dieu, non è possibile. Paolo guarda! -
Mi avvicinai e impallidii, quel volto davanti a me era il mio. Sembravo io, aveva solo un po' il naso diverso ma ero io. Guardai gli occhi di quell'uomo.
- Capisce perchè ho sentito il desiderio di fermarmi e farvi conoscere questo? -
Guardavo quel ritratto, mi assomigliava davvero e chissà cosa ho suscitato in quell'uomo quando mi vide in quel bistrot, ero imbarazzato e nello stesso tempo sorpreso piacevolmente.
Volle farmi una foto in quella piazza nella stessa posizione del giovane nel ritratto ma quella foto non la vidi mai, non so perchè ma non siamo più passati da quelle parti nei giorni successivi, avevo sempre sperato che quel signore, Monsieur Rainer col tempo avesse ritrovato quel suo amico o almeno sue notizie. Chissà forse il destino....

III°
Tramonto rosso fuoco, la Tour Eiffel si stagliava tra il rosso del sole e il rosato ed oro del cielo, Venere era là, splendida e luminosa poco più in alto, Louis ed io eravamo appoggiati con le braccia sul Pont de Carrousel, sulla sinistra due signori anziani guardavano il battello scivolare sotto di noi sulla Seine, alla nostra destra il Louvre, imbrunito dalle ombre della sera, sembrava quasi un ombra minacciosa.
Era uno dei miei ultimi giorni di vacanza a Parigi, a casa del mio amico Louis, i nostri volti erano verso quella torre così alta e scura, i pensieri persi chissà dove. Improvvisamente sentii il suo sguardo su di me, non capivo il perché ma quando voltai il mio verso il suo viso, mi sembrò che gli occhi fossero lucidi.
"Che c'è?" chiesi girandomi con la schiena appoggiata al ponte.
"Nulla... Nulla..." la sua voce mi sembrava triste, all'improvviso mi abbracciò forte... Mi preoccupai, pensavo che non stesse bene, poi si staccò chiedendomi scusa per il gesto magari frainteso. 
"Frainteso?" Mi chiesi... Era solo un abbraccio dato da un amico magari in difficoltà per qualcosa che non sapevo forse, avevamo dormito nello stesso letto in quella mansarda dove abitava, c'era pura amicizia tra noi. Una di quelle vere,  di quelle poche che appagano il cuore e la mente.
"Mi... mi dispiace che tu te ne vada... Che ritorni in Italia tra pochi giorni."
"Tra cinque giorni Louis..." sdrammatizzai abbozzando un sorriso, lui mi prese per un braccio e mi condusse in silenzio verso Rue de Saints Pères, e quasi correndo ci ritrovammo in Boulevard Saint Germain.
"Preferisco stare in mezzo alla gente, non soli su quel ponte a guardare quel tramonto, la Senna e tu pensieroso. Tutto questo mi aveva messo addosso una tristezza... Almeno qui in mezzo a tutta la gente mi sembra di stare meglio."
"Louis davvero non capisco, non è la prima volta che vengo a Parigi, che ci vediamo... Mi hai promesso di venire a Milano a casa mia ad aprile del prossimo anno... Non dovresti essere triste."
"Ma questa volta è diverso." concluse sedendosi ad un tavolino di un bar, mi sedetti anch'io.
"Come sarebbe a dire: questa volta è diverso?"
Il suo sguardo era oltre il mio...
"Partiamo per il Canada, con i miei, partiremo tra due mesi, l'ho saputo stamattina da papà... Ci trasferiamo lì per tre anni. Papà ha avuto un incarico di lavoro per la sua società..."
Mi venne un colpo, tre anni lontani e un aprile, il prossimo, senza la sua visita che avrebbe fatto piacere a mia madre e a mia sorella.
"Beh c'è il telefono, ci potremmo scrivere..."
"Si ma non è la stessa cosa Jean (mi chiamava così quando era arrabbiato o triste), lo sai che sei un fratello per me, un fratello che non ho mai avuto, sei molto di più degli amici che ho qui, neanche Francine, Robert e Didier, sono come lo sei tu per me!"
Mi venne addosso una tristezza infinita, un altro amico che se ne va lontano e chissà quando l'avrei rivisto ancora, cercai di sorridere nuovamente ma lui mi fissò serio.
"Voi italiani pensate sempre male..." rimasi basito, aveva interpretato male il mio sorriso? Cercava di ferirmi o di sfogare qualcosa per non soffrire troppo?
 "So cosa pensate se un uomo dice queste cose ad un altro uomo..."
"Ma sei matto Louis? Ma che dici? Volersi bene non significa chissà..." Non mi fece finire la frase, si scusò per la sciocchezza detta. Pensava che avessi capito male il suo abbraccio e la sua commozione, ma un'amicizia che durava da qualche anno non lasciava spazio a dubbi, però vidi davvero la sofferenza negli occhi del mio amico.
Dopo aver bevuto qualcosa e mangiato un panino, ci avviammo a piedi verso casa, avevamo un appuntamento con Didier e Marcel un loro amico di Tours ospite come me a casa dell'altro.
 La serata passò serena, avevamo ascoltato musica e cantato, ci siamo rimpinzati di dolci e bibite... Un gioco a carte e mezzanotte si era fatta vicina, gli altri due amici dovevano tornare a casa, il padre di Didier era piuttosto severo e aveva dato loro un orario preciso.
Più tardi in camera, stavo scrivendo un paio di cartoline sulla scrivania davanti al letto, Louis era già dalla sua parte e stava leggendo un libro. Poco dopo sua madre venne a darci la buona notte e ci augurò una buona visita per l'indomani a Versailles, una gita di due giorni già organizzata insieme a Didier, Marcel e Robert.
Appena finito di scrivere mi misi a letto, non avevo acceso l'abat-jour perchè avevo sonno. Louis si girò a guardarmi, aveva messo il libro sul comodino e spento la luce. Dalla finestra i fiochi raggi di una luna lontana davano in quella stanza un alone da fiaba.
"Ti posso abbracciare?" mi chiese titubante Louis, lo feci io per lui, si mise a piangere con la testa sul mio petto, mi sembrava un bambino... Doveva sfogarsi, avevo capito il dolore che lo attanagliava e non era solo per me, io potevo essere una delle tante cose che non avrebbe più visto per tre lunghi anni, lunghi per la nostra età, per i nostri vent'anni.
Restammo abbracciati così mentre lui mi parlava delle sue cose, delle sue avventure da piccolo. In quel momento ero quel fratello che gli mancava, non vedeva le mie di lacrime per fortuna, in quel momento dovevo essere il più forte... 
Si addormentò piano vicino a me, sentivo la sua spalla vicino alla mia e pensai a quanto erano stati belli quegli anni, quelle vacanze fatte insieme. Gli sfiorai la testa con la mano "Mi mancherai molto anche tu." pensai e come lui avrei voluto un fratello maggiore con cui giocare e confrontarmi. Il sonno prese il sopravvento anche per me e la notte passò veloce.
La luce del sole mi abbagliò il viso il mattino dopo, spalancai gli occhi, Louis era in piedi davanti alla finestra, mi sorrise e mi schiacciò un'occhio.
"Forza pigrone, Versailles ci aspetta e così gli altri... Voglio godermi come non mai questi nostri cinque giorni di felicità. Vediamo chi arriva per primo in bagno".
Ci arrivò lui ovviamente e intanto che aspettavo il mio turno, pensai alla nostra amicizia e mentre stavo per commuovermi, prontamente mi alzai e aprii le finestre, una giornata limpida e stupenda ci aspettava, un forte respiro e nulla ci avrebbe più fermato.

IV°
Paris, un maggio di tanti anni fa.
   Erano passati tre anni che non ritornavo a Parigi, tre anni da quando Louis con la sua famiglia si erano trasferiti in Canada.
   I primi mesi arrivarono le telefonate, poi le lettere e negli ultimi tempi più nulla... Ogni tanto Nadine o Robert mi scrivevano per farmi avere loro notizie e notizie del nostro amico, poi anche loro avevano perso le sue tracce e tra noi piano piano la corrispondenza si fece sempre più rara, fino a scomparire incominciando dalle cartoline di buon Natale.
   Avevo ancora una settimana di ferie da finire, la decisione fu presa improvvisa: partire per Parigi e ritrovare qualcosa del passato, qualcosa che mi facesse star bene, qualcosa che non ho più avuto e che a quel tempo rimpiangevo molto.
   Tre anni prima, dopo il mio ritorno a casa e aver dato addio a Louis, molte cose erano cambiate nella mia famiglia e la spensieratezza, la felicità e tanto altro erano sparite in qualche meandro oscuro tramato del destino...
   Fu allora che mi accorsi nella mia solitudine che mi mancava, mi mancavano quegli anni spensierati e soprattutto quei viaggi e vacanze nella città luminosa, divertente e romantica, mi mancavano quei ragazzi e soprattutto Louis.
   Mi ero svegliato presto il mattino successivo al mio arrivo a Parigi, avevo trovato un bell'albergo nei pressi di Avenue Marceau, volevo il meglio e godermi questi giorni prima di ritornare alla mia vita.
   Dopo essermi preparato per scendere e gustarmi la prima colazione, mi ero affacciato alla finestra: davanti a me la Tour Eiffel si stagliava in tutta la sua bellezza, il cielo era di un azzurro chiaro e i palazzi color avorio dai tetti così particolari incorniciavano quel paesaggio.
  Più tardi ero già tra la folla, guardavo i volti delle persone come se cercassi qualcuno per ritrovare quel passato, osservavo le vetrine, gli alberi che ombreggiavano dal sole caldo di quel maggio luminoso come solo Parigi poteva avere.
   Arrivai fino al Pont de l'Almà, era quasi ora di pranzo, ma mi fermai a metà per guardare la Senna ed i battelli che la solcavano, mi venne in mente quel giorno in cui Louis era disperato e mi confessò la sua prossima partenza per l'America... 
   In quell'attimo mi era assalita una tristezza che quasi ero corso dall'altra parte del ponte, magicamente mi trovai in Rue de l'Universitè davanti ad un bar, avevo sete e fame. Entrai.
   Seduto ad un tavolino stavo gustandomi un leggero pranzo, guardando la folla dalla vetrina di fianco a me, quando una voce alle mie spalle mi aveva fatto trasalire:
"Il est incroyable, je ne peux pas y croire, mais ... Jean Paul!"
Rimasi con il pane a metà tra la bocca ed il piatto, vi voltai di scatto, Didier era davanti a me, in piedi ed allibito.
"Mon Dieu quanto tempo caro amico..." disse, mi alzai e Didier mi abbracciò talmente forte che sentivo quasi le costole incrinarsi. Era un rugbista e ovviamente poco conscio della sua forza.
Era incredibile, un segno del destino... Il primo ricordo del passato che si faceva vivo durante quella vacanza, eravamo strabiliati. Lui era cambiato in tre anni: si era fatto crescere la barbetta biondiccia sul volto, i tratti erano più adulti, i capelli lunghi e ricci incorniciavano quel sorriso ancora da bambino nonostante la mole.
Ci raccontammo per un'ora tutto quello che ci era accaduto nei tre anni passati senza vederci ne scriverci, si era scusato molto ma con la sua squadra viaggiava spesso e gli allenamenti lo occupavano tanto ma mi aveva sempre pensato. Dissi così anche io, tralasciai di metterlo al corrente delle cose spiacevoli capitatemi... Poi mi disse che aveva tutta la giornata disposizione e voleva dedicarmela, così accettai.
Finimmo ormai sera poi a casa sua dove viveva con sua madre, una signora che conobbi anni prima, simpatica di origini fiamminghe e cenammo lì, tra i fiori su un terrazzo piastrellato di azulejos e vasi in coccio.
Dopo cena e prima di riaccompagnarmi in albergo, in camera sua incominciò a raccontarmi di tutti gli altri, seppi della scomparsa in un incidente di Marcel, che dispiacere fu per me saperlo... Seppi anche del trasferimento a Saint-Etienne di Nadine e del matrimonio di Robert, poi silenzio...
Sapeva che volevo parlare di Louis, avevo un brutto presentimento ma i suoi occhi allegri e il sorriso simpatico mi fece tirare un sospiro di sollievo.
"Louis, vive in Australia ora... Suo padre ha avuto un incarico speciale a Perth e si sono trasferiti in quella città più di otto mesi fa, l'avevo incontrato qui poco prima e come al solito non ci siamo scambiati i recapiti... Capisci? Odio gli addii..."
   Lo sapevo ed era per quello che il giorno della mia definitiva partenza tre anni prima, non si fece vedere ma mi mandò i saluti da Robert.
"Mi aveva chiesto di te e non seppi dargli l'indirizzo, perdonami Jean, mi dispiace..."
   "Non fa nulla" gli risposi "L'importante è che stia bene e magari un domani chissà.... Forse ci ritroveremo tutti quanti."
   Il suo volto si era rabbuiato, Didier era troppo sensibile, riviveva ad ogni addio o allontanamento di qualcuno, il trauma dell'abbandono del padre quand'era piccolo. Sentiva il distacco come un rifiuto, non continuai oltre, poi si era alzato improvvisamente e da un cassetto della sua scrivania prese una lettera.
   "Tieni è per te, me l'aveva data Louis l'ultima volta, dicendomi che se ti avessi incontrato un domani... Avrei dovuto dartela, quasi se lo sentiva quel testone. Tieni è tua, la leggerai da solo in camera dell'albergo."
Avevo quella busta in mano, una busta color avorio con scritto in blu "Pour mon ami JP", sentivo le lacrime agli occhi.
  Dopo aver salutato sua madre madame De Claudet, Didier mi riaccompagnò in auto fino all'Hotel.
   "Jean mi dispiace ma domani parto per Lilla, ho gli allenamenti per la fine del campionato e starò via una settimana..."
   Non importa gli dissi e ci abbracciammo forte, mi prese una mano come non volesse lasciarmi andare, lo guardai e negli occhi vidi tutta la sua solitudine.
    "Cerca la tua felicità..." gli dissi scendendo dall'auto.
    "Lo farò te lo prometto, è ora anche per me.Ciao caro amico mio..." fu l'ultima volta che vidi anche lui.
   La Tour Eiffel si stagliava illuminata davanti ai miei occhi, seduto al tavolino sul terrazzino della mia camera, rigiravo la busta che mi aveva lasciato Louis, avevo paura ad aprirla e non ne capivo il perché.
Poi sentii un profumo di fiori dal balcone vicino al mio e l'aprii.
   Lessi quelle parole scritte in cinque pagine, parole fitte, dove mi raccontava tutto... Dove ogni lettera si scolpiva nella mente e nel cuore. quando finii mi accorsi di piangere, appoggiai la testa sul tavolino e mi sfogai...
   La settimana passò in fretta, avevo deciso la mattina dopo, di fare solo il turista e non pensare ad altro, avevo capito che il passato dovevo lasciarlo andare, di rilegarlo in una parte del mio cuore e della mente.
   Quando finita la vacanza, partii per l'italia, dall'aereo vidi la grande città dall'alto, sentii nell'anima che quella era l'ultima volta, sentii che l'avrei rivista dopo tantissimi anni ma non avrei rivisto più le persone che in quegli anni fecero parte della mia vita... 
E così fu
Giampaolo